I crimini di guerra fascisti in Etiopia all’attenzione della comunità internazionale
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“La storia prova in maniera evidente che la libertà di cui godono in molti diviene fragile quando è tollerata la negazione anche ai pochi, dei diritti umani” – Sua Maestà Imperiale Haile Selassie I
La memoria storica fine a se stessa non è utile a nessuno, e se il senso più nobile dell’essere umano è quello di vivere gli uni con gli altri e non “gli uni contro gli altri”… i nostri sforzi nel vigilare ed intervenire non dovranno mai cessare.
I crimini commessi dal fascismo in Etiopia, rappresentano solo uno dei tanti tristi esempi di storia dimenticata e di giustizia mancata cui purtroppo tutt’oggi siamo costretti a fare i conti.
Il caso di Affile, in effetti, è diventato diretta conseguenza di quel fallimento iniziale che non portò l’Italia a giudicare i maggiori criminali di guerra davanti ad un Tribunale internazionale, in cui… visioni del passato proseguono lungo linee politiche contemporanee.
È interessante notare che nel caso delle Fosse Ardeatine, le prime richieste di vedere processati i criminali tedeschi, provenivano proprio dall’Italia, che, solo in un secondo momento si accorse che questa punibilità si sarebbe potuta riversare anche sui crimini italiani.
La storiografia ha recentemente dimostrato in modo convincente, che le leggi razziali antiebraiche del 1938 non erano concessione di Mussolini a Hitler, ma invece il culmine delle politiche razziste dell’Italia, iniziate in Libia e proseguite in Etiopia. Non a caso, la persona che più di tutte incarnò l’intero spettro delle politiche razziste –dalla Libia fino alla repubblica sociale italiana – fu proprio il macellaio d’Etiopia, Graziani.
La provocazione fatta dal Sindaco di Affile di erigere un mausoleo ad un criminale di guerra, non solo ha fatto scandalo in tutto il mondo, ma è diventata ancora una volta compromesso con quella memoria storica che a quanto pare in Italia si ha difficoltà a custodire. Alcuni studiosi parlano di “memoria selettiva” dell’era fascista. Infatti casi –solo per citarne alcuni- come quello del sindaco di Roma Rutelli che nel 1995 propose di dedicare una strada ad un ex ministro fascista Giuseppe Bottai, oppure la proposta dell’ex sindaco Alemanno di intitolare una strada ad Almirante, editorialista del giornale fascista “La difesa della razza”, sembrano tristemente confermare questa tesi.
Per questo le parole di Sua Maestà sono straordinariamente profetiche non solo quando nel ’37, per primo denuncia le dittature europee che di li a breve portarono scompiglio in tutto il mondo, ma anche quando nel 1970 in Italia aveva detto: “La storia si ripete, ciò che è vero oggi potrebbe essere applicabile domani. La storia può essere istruttiva soltanto nel momento in cui, in qualche modo, SI VINCA LA SUA FASE MUTEVOLE E LA SI DOMINI. Si può compiere la storia soltanto se si evita di essere attratti nella sua trappola”.
Il caso del mausoleo a Graziani è appunto emblematico per due motivi: sia per la continua ambiguità che l’opinione pubblica italiana – nonché le Istituzioni – mostrano nei confronti del passato fascista, che per l’atteggiamento poco chiaro del sistema giudiziario rispetto ad esso.
Questo contributo perciò vuole essere solo un’estrema sintesi storica di come sia avvenuta la discussione politica internazionale sui crimini di guerra fascisti in Etiopia e di come appunto gli sforzi del governo etiope non abbiano avuto lo stesso successo di altri Paesi, solo per ragioni di puro opportunismo politico.
Non bisogna dimenticare, che l’Etiopia di Sua Maestà, è stata senza alcun dubbio il Paese che più di ogni altro ha creduto nei principi di giustizia internazionale e anche nel caso dei Tribunali internazionali è stato forse il primo o tra i primi Paesi a farne richiesta.
Le atrocità fasciste anche se ampiamente condannate da individui e organizzazioni, rimasero ufficialmente ignorate prima dalla Società delle Nazioni (d’ora in poi SdN) – quando queste furono commesse – e una decade più tardi davanti alla Commissione dei Crimini di guerra delle Nazioni Unite, come risultato della guerra vinta dagli Alleati contro l’asse nazi-fascista.
Notizie inconfutabili sui crimini fascisti in Etiopia si hanno già nel novembre del 1935, un mese circa dall’invasione. Le ripetute denunce etiopiche e l’energica protesta di Sua Maestà Imperiale davanti all’assemblea ginevrina, pur destando un certo stupore, per ragioni di compromesso politico, rimasero inascoltate.
Dopo il massacro Graziani del 1937, nonostante la SdN avesse già perso di credibilità, giunse da parte etiopica la richiesta di istituire una Commissione d’inchiesta, ma ancora una volta la questione fu rigettata.
Un primo passo venne fatto quando nel gennaio del 1942 a Londra nove stati europei rifugiati, sostenuti dal presidente americano Roosevelt, decisero di condannare i crimini di guerra del nazismo, con l’impegno di istituire una Commissione d’investigazione. Una dichiarazione delle Nazioni Unite letta davanti la Camera dei Comuni inglese, ne confermava l’impegno. Questa dichiarazione si riferiva solamente all’Europa e soprattutto ai crimini di guerra nazisti. L’Africa non era menzionata. Paradossalmente niente fu detto dell’Italia fascista e delle atrocità che aveva commesso in Europa ed in Etiopia.
Dopo la caduta di Mussolini, l’atteggiamento della Comunità internazionale nei confronti dell’Etiopia assunse toni differenti, se pur solo nelle dichiarazioni e comunque in riferimento a Mussolini.
Pankhurst infatti ricorda come Roosevelt aveva proclamato che “the head devil” doveva essere visto come un criminale di guerra e che insieme ai suoi complici andava consegnato.
Nel 1943 il governo inglese stilò una bozza per la consegna dell’Italia, nella quale vi era il primo riferimento ufficiale alla questione dei criminali di guerra italiani. Nell’articolo 30 si dichiarava: “tutte le persone sospette di aver commesso crimini di guerra o offese analoghe, il cui nome appare sulle liste comunicate o suggerite dalle Nazioni Unite saranno arrestati e consegnati nella mani delle Nazioni Unite”.
Il 30 luglio il generale Eisenhower telegrafò a Churchill: “ è nostra opinione che lo sforzo di prendere il diavolo nel futuro prossimo, pregiudichi il nostro obiettivo primario che è di far uscire l’Italia dalla guerra[…] io credo che tutte le richieste degli alleati che non sono essenziali al tempo presente saranno posposte, al fine di far uscire l’Italia dalla guerra alla prima data possibile.”
Il 1 novembre 1943 Churchill, Roosevelt e Stalin firmarono la dichiarazione di Mosca. Fu un documento cardine che segnò una svolta nella storia del diritto penale internazionale, in quanto i crimini non si limitavano più ad essere solo denunciati, ma venivano sanciti principi e criteri per la loro punibilità. Fu questo appunto il primo atto che condusse all’istituzione dei tribunali sui crimini di guerra.
Dopo “l’eroico” cambiamento di alleanza di Badoglio dai tedeschi agli anglo-americani, il British Foreign Office decise di escludere l’Etiopia dai diciassette Paesi membri della Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra; il solo altro alleato escluso era l’Unione Sovietica. A questo punto sorge una domanda: perché l’Etiopia fu esclusa? Il Foreign Office, trovandosi in una situazione abbastanza imbarazzante, spiegò che secondo il loro parere la Commissione non era preparata a considerare i crimini di guerra commessi in Abissinia dagli italiani prima dello scoppio del conflitto mondiale. Questo perché gli inglesi che avevano un interesse limitato per i crimini commessi contro i non europei, erano inoltre contrari a giudicare Badoglio, identificato invece dagli etiopi come il principale criminale di guerra italiano.
Ancor di più, tali crimini venivano considerati dalla comunità internazionale del tempo come una caratteristica accettabile della guerra moderna, solo perché non commessi in Europa.
L’esclusione dell’Etiopia dalla Commissione non piacque agli inglesi “amici dell’Etiopia” che guidati dalla suffragette Sylvia Pankhurst (pro-ethiopain e antifascista) e appoggiati dal laburista MP, Ben Riley sottoposero un ulteriore Discussione Parlamentare. Il governo inglese liquidò malamente la questione con quattro parole: “That was another war”. Poi precisò: “la politica delle Nazioni Unite a riguardo, ritiene che, solo quelle Nazioni associate a questa questione sin dall’inizio dovrebbero essere membri della Commissione”. In altre parole l’Etiopia fu esclusa dall’inizio e perciò doveva continuare ad essere esclusa.
Intanto la scelta della Gran Bretagna e degli alleati di punire i maggiori criminali di guerra dell’Asse europeo attraverso l’istituzione di un Tribunale Militare Internazionale si concretizzò con un accordo nell’agosto del 1945. Il 3 ottobre il governo etiope annunciò la sua partecipazione all’accordo e fu l’ottavo Paese a farlo. Una commissione sui crimini di guerra etiopi fu creata dal governo Imperiale.
I crimini di guerra furono una delle questioni che emersero quando i Ministri degli Esteri delle quattro grandi potenze (Gran Bretagna, Francia, Usa e Urss) si incontrarono a Parigi per le discussioni sul Trattato di pace con l’Italia stipulato poi nel 1947. L’Etiopia venne invitata come controparte a fare raccomandazioni; l’Italia dal canto suo riconosceva di aver portato avanti un ininterrotto stato di guerra iniziato nel 1935, quindi implicitamente prendeva atto dell’illegalità dell’annessione effettuata nel 1936.
In quella occasione la delegazione etiopica fece forti pressioni ai Ministri degli Esteri affinché accettassero due importanti principi: primo, che la guerra per l’Etiopia era iniziata il giorno dell’invasione fascista, quindi il 3 ottobre 1935; secondo, che l’Etiopia avesse giurisdizione sugli eventi che si verificarono durante il periodo dell’occupazione. Questo concetto in particolare si basava sul principio del postlimitium secondo cui una volta che l’occupazione nemica fosse terminata, uno stato poteva considerare la sua esistenza come sopravvissuta senza interruzioni. Spencer – storico americano che è stato consulente legale dell’Imperatore e autore del libro Ethiopia at bay – spiegando le sue ragioni allo studioso Pankhurst affermò chiaramente che sia la Gran Bretagna che la Francia avevano riconosciuto la conquista. La Francia perché aveva stipulato importanti accordi con l’Italia, in particolare sulla ferrovia Gibuti-Addis Ababa; mentre la Gran Bretagna aveva stipulato un accordo con l’Italia il 27 gennaio 1937 riguardo le migrazioni delle tribù tra il Somaliland britannico e l’Etiopia. Queste confische rappresentavano il motivo per cui l’Etiopia si sarebbe dovuta appellare al Consiglio dei Ministri per insistere sulla data del 3 ottobre 1935.
Questi principi furono accettati dal Consiglio che li incorporò nei tre articoli separati della bozza dei trattati. Comunque la bozza non conteneva specifici riferimenti all’Etiopia o ad altri Paesi ma si limitava ad affrontare i crimini solo in generale.
L’articolo 45 dichiarava che l’Italia avrebbe dovuto prendere tutte le misure necessarie ad assicurare l’arresto e la consegna per giudicare: a) persone accusate di aver commesso, ordinato o favoreggiato crimini di guerra e crimini contro la pace o l’umanità; b) i cittadini di ciascun alleato o potenza associata di aver violato il loro diritto nazionale per tradimento o collaborazione con il nemico durante la guerra.
La bozza del trattato sostanzialmente andò a stabilire tre importanti principi: 1) l’Italia era obbligata a consegnare i criminali di guerra per il processo; 2) le responsabilità italiane in relazione all’Etiopia – contrariamente alla posizione del Foreign Office britannico – iniziarono nel 1935 con l’invasione; 3) gli interessi dei membri delle Nazioni Unite in caso di difficoltà erano di responsabilità degli ambasciatori delle quattro grandi potenze a Roma.
Nel 1946 il vice Ministro degli Affari Esteri etiope Ato Ambay Wolde Mariam inviò tre lettere sulla questione dei crimini di guerra al Segretario Generale delle Nazioni Unite, al Tribunale Internazionale Militare e alla Legazione britannica in Addis Ababa. Queste lettere ribadivano che il governo etiope aveva creato una commissione per i crimini di guerra con “piena autorità e incaricata di ricostruire i fatti legati ai crimini di guerra in Etiopia e i capi d’accusa a carico degli italiani che li avevano perpetuati.
La lettera di Ato Ambay Wolde Mariam raggiunse la Commissione per i crimini di guerra delle Nazioni Unite nel 1946. Tale lettera incontrò una forte opposizione da parte del Foreign Office in cui si affermava che l’Etiopia stava cercando di trovare criminali di guerra per crimini commessi prima dell’apertura della guerra europea del 1939.
Il lavoro sul trattato di pace italiano con le Nazioni Unite nel frattempo continuava. La conferenza sul trattato si riunì il 29 luglio e accettò la disposizione del Consiglio dei Ministri che la seconda guerra mondiale fosse cominciata per l’Etiopia il 3 ottobre 1935.
Mentre in Etiopia la commissione nazionale dei crimini di guerra iniziava a lavorare, a Londra il governo britannico continuò ad opporre il suo no nel processare gli italiani accusati di crimini di guerra precedenti al 1939.
Come sottolinea lo storico Michael Palumbo, sulla base di documenti trovati negli archivi di Washington, Londra e Roma, gli anglo-americani erano a conoscenza della efferatezza dei crimini italiani e, negli anni che seguirono l’armistizio coprirono Badoglio e il suo gruppo perché li ritenevano affidabili per il loro anticomunismo.
Il trattato di pace italiano venne finalmente firmato nel febbraio del 1947, ma la Commissione delle Nazioni Unite non era d’accordo ad ascoltare i casi etiopi fino al 29 ottobre del 1947. La commissione aveva quasi finito fino a quel momento tutto il suo operato ed era prevista la chiusura entro il 31 marzo 1948 e non fu disponibile a prolungare le sue delibere sul caso etiope. Questo atteggiamento mise il governo etiope in una posizione svantaggiosa: primo, perché aveva solo cinque mesi per sottoporre i suoi casi; secondo perché i crimini di guerra italiani commessi quando lo Stato etiope pre-guerra stava collassando, non potevano essere facilmente sostenuti da testimonianze veritiere.
È questa la ragione per cui l’Etiopia ridimensionò i suoi sforzi e si limitò a sottoporre solo dieci casi.
I dieci casi della Commissione etiope raggiunsero la Commissione delle Nazioni Unite giusto in tempo per l’ultimo incontro, il 4 marzo 1948. I procedimenti furono aperti dal rappresentante inglese che accolse il rappresentante etiope cordialmente, esprimendo la massima stima per il fatto che i casi sottoposti dal governo etiope erano stati così ben preparati e documentati.
Il primo caso da esaminare fu quello di Badoglio, accusato di aver usato gas tossici e di aver bombardato ospedali della Croce Rossa durante la campagna d’Etiopia. Gli inglesi presero le difese degli italiani sostenendo che quasi tutta la campagna d’Etiopia sarebbe stata elaborata da Mussolini e Graziani, avanzando seri dubbi sulle accuse rivolte a Badoglio anche per quanto riguarda l’uso di gas tossici. I rappresentanti etiopici sottolineavano però, che a prescindere dal fatto che i superiori avessero o meno ordinato di commettere crimini, rimaneva comunque la loro responsabilità a sorvegliare i propri sottoposti e prevenire che i crimini venissero commessi. D’altronde il generale giapponese Yamashita venne condannato in base a questo principio. Fu inoltre fatto notare, come il governo britannico non fosse dello stesso avviso nel 1935-36, quando respinse qualsiasi argomento avanzato dal Ministro degli Esteri italiano per discolparsi del bombardamento di unità mediche inglesi in Etiopia.
Con gli etiopi spalleggiati da Norvegia e Cecoslovacchia, il Comitato decise di inserire Badoglio nella lista come criminale di guerra di grado A, per l’uso di gas tossici e per gli attacchi degli ospedali della Croce Rossa.
Il caso Graziani fu invece meno controverso e fu inserito con grado A, con nove capi d’imputazione.
Anche gli altri otto capi fascisti furono inseriti nella lista:
- generale E. De Bono C.Geloso e A.Pirso-Biroli: riconosciuti criminali di guerra per la politica repressiva attuata nelle regioni di cui erano governatori.
- generale S.Gallina: riconosciuto criminale per le violenze, i rastrellamenti, le uccisioni fatte dalle sue truppe.
- G.Cortese: considerato criminale per l’ondata di terrore dopo l’attentato Graziani ad Addis Ababa.
- R.Tracchia: considerato criminale per aver fatto fucilare i fratelli Kassa, dopo aver loro promesso salva la vita.
- A.Lessona: considerato criminale per il sospetto di complicità in atti di sistematico terrorismo. La Commissione lo ritenne invece, non partecipe dei crimini di guerra e perciò annoverato nella lista dei testimoni .
- Enrico Cerulli: considerato dalla Commissione più un testimone che un criminale
L’accusa incontrò il problema che l’Etiopia non aveva controllo sugli accusati e non poteva chiedere la loro estradizione, in quanto Etiopia ed Italia non avevano relazioni diplomatiche, anche per questo maggiore attenzione fu poi riservata ai due maggiori criminali di guerra Graziani e Badoglio.
Il governo britannico, al quale le autorità etiopi si erano appellate, in virtù dell’accordo esistente tra i due Paesi, chiese che l’estradizione dei due marescialli fosse effettuata dagli ambasciatori a Roma.
Gli etiopi organizzarono una loro Commissione nazionale sui crimini di guerra, che avrebbe seguito i principi di diritto e le procedure in accordo con quelle della Carta del Tribunale di guerra di Norimberga.
Nel 1949, l’Italia respinse la richiesta etiope per l’estradizione di Graziani e Badoglio. Il 17 settembre, l’ambasciatore etiope a Londra sottopose la questione al Foreign Office che considerò la richiesta inopportuna e le consigliò di desistere. Così nessun criminale fu mai estradato. Badoglio morì nel suo letto con un funerale di Stato.
Il governo italiano, anche se totalmente indifferente alle iniziative etiopi, decise di processare Graziani per collaborazione con i tedeschi in Italia dall’8 settembre del 1943, al termine delle ostilità. Il 2 maggio 1950 il Tribunale militare lo condannò a 19 anni di carcere, di cui tredici condonati. La pena da scontare fu ulteriormente ridotta a quattro mesi, per la richiesta della difesa, subito accolta, di far iniziare la decorrenza della carcerazione preventiva al 1945. Pertanto quattro mesi dopo la sentenza, Graziani tornò in libertà, lasciando l’ospedale militare dove aveva trascorso gran parte della durata del processo. Nel marzo 1953 divenne presidente onorario del Msi. Morì nel 1955 per collasso cardiaco.
Bibliografia:
- R.Pankhurst, Sylvia Pankhurst: counsel for Ethiopia, Tsehai Publishers, Hollywood 2003
- Ali A.Mazrui, UNESCO General History of Africa, vol.VIII. Africa since 1935, Heinemann, California, Unesco.
- R. Pankhurst, Italian fascist War Crime in Ethiopia: A History of their Discussion, from the League of Nations to the United Nations (1936-1949), Northeast African Studies, vol.6, number 1-2, 1999
- A.Gingold Duprey, De l’invasion à la libération de l’Ethiopie, Paris 1955
- A.Del Boca, I gas di Mussolini: il fascismo e la guerra d’Etiopia, Editori Riuniti, Roma 1996
- J.Spencer, Ethiopia at bay. A personal account of the Haile Selassie years, Algonac, Michigan 1987
- Trattato di Parigi fra l’Italia e le potenze alleate, Wikipedia
- La mancata estradizione e l’impunità dei presunti criminali di guerra italiani accusati per stragi in Africa e in Europa, Crimini di guerra
- video documentario “Fascist Legacy” prodotto da BBC, Londra 1990, regia di Ken Kirby con la consulenza storica di Michael Palumbo