In città erano sorti svariati alberghi, alcuni dei quali conformi ai più elevati standard internazionali per soddisfare le necessità di ospiti importanti, dei seguiti dei capi di Stato che giungevano a far visita, degli eserciti di giornalisti di stampa e televisione che li accompagnavano, per i quali furono installate le attrezzature tecniche necessarie. La regina Elisabetta II, i presidenti De Gaulle e Pompidou di Francia, Lubke della Germania occidentale, Tito della Jugoslavia (ripetutamente) e i presidenti di Polonia, Cecoslovacchia e Romania vennero tutti in visita di Stato nel periodo successivo al 1960, seguendo le orme dei molti giunti già in precedenza: il re di Grecia, la regina d’Olanda, lo Shah d’Iran, il re Hussein di Giordania, il presidente dell’India ed altri. A volte era un deputato a compiere il viaggio invece del capo di Stato: i vice-presidenti statunitensi Nixon e Humphrey, il principe ereditario del Giappone e il premier Chou En-lai. In questo periodo finale del Regno, l’Imperatore continuava a compiere egli stesso visite di Stato e a condurre negoziati in prima persona. Si recò negli Stati Uniti e nell’Unione Sovietica (due volte ciascuno), nella Repubblica Popolare di Cina, in Germania occidentale, Francia, Italia, Spagna e Jugoslavia (altrettanto frequentemente di quanto Tito lo avesse visitato). Naturalmente, visitò anche Paesi africani: Egitto, Marocco, Kenya, Malawi, Zambia e Mali tra gli altri.
In politica estera, così come nel campo della politica di sviluppo, fece il possibile per mantenere un equilibrio tra Est e Ovest da un lato e Nord e Sud dall’altro, per incoraggiare la competizione tra forze divergenti nell’assistenza tecnica e affievolire le pressioni rivoluzionarie che venivano esercitate dall’esterno sull’Etiopia imperiale. Agendo in tal modo Egli sperava di guadagnare la tregua necessaria per gettare le fondamenta della propria monarchia costituzionale. Il Regno avrebbe potuto mantenersi intatto sotto la Corona, mentre l’antico ordine e le forme tradizionali si sarebbero mutate in qualcosa di nuovo, mediante un processo di trasformazione costante e ordinato.
In questo modo, il Re dei Re stesso muoveva un passo nel mondo esterno e avanzava un tentativo per ottenere una posizione trainante nel cuore delle forze politiche che erano intente ad annientarlo. Lo spirito dell’epoca richiedeva il proprio tributo, e Haile Selassie era pronto a pagarlo. La ragione per cui egli intensificò la propria collaborazione con il presidente Tito della Jugoslavia era il desiderio di divenire una pietra angolare nell’edificazione del Movimento Non-Allineato. Assunse anche la posizione di leader Pan-africano, personalmente coinvolgendosi qual mediatore laddove gli Stati africani si trovassero in conflitto tra di loro. In quest’ambito ottenne i propri successi: non ultimo trattò in maniera da risolvere, con mezzi politici, le controversie di confine tra Etiopia e Somalia. Fu sotto la sua spinta che l’Etiopia si associò all’esiguo numero di Stati che portarono il Sudafrica al cospetto della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia per denunciare la sua occupazione dell’antica colonia tedesca dell’Africa sudoccidentale (Namibia). Il Leone di Giuda giunse al punto di tagliare le proprie relazioni diplomatiche con Israele, sebbene Israele avesse cooperato ai programmi di sviluppo etiopici e offerto talora il proprio aiuto.
Tratto da “The mission”, di Hans Wilhelm Lockot, ed. Hurst & Company, London 1989, pagg. 99-100.